L’alfabetizzazione finanziaria, chiave dell’armonia sociale in Cina

Nicoletta Ferro
Autore per China Files

In tempi di incertezza economica come quelli che si prefigurano all’orizzonte per la Cina, formare cittadini finanziariamente alfabetizzati e attivi, rappresenta una garanzia per il mantenimento di una “società armoniosa” come quella a cui aspira il presidente Xi Jinping. Avvicinare i più piccoli al mondo della finanza in quest’ottica diviene un progetto politico di lungo termine sul quale Pechino sta investendo molto.

Non più solo caratteri recitati a memoria o le storie degli eroi cinesi, gli studenti della terra di mezzo impareranno presto a destreggiarsi nel mondo dell’economia e della finanza e a valutare fattori di rischio e opportunità negli investimenti, fin dalla più tenera età.

Lo ha stabilito la Chinese Regulatory Securities Commission (CSRC), la commissione che regola i mercati cinesi e che, in collaborazione con il Ministero dell’istruzione cinese, ha approvato una norma che introduce l’alfabetizzazione finanziaria (jinrong suyang) e la conoscenza finanziaria (jinrong zhishi) nel curriculum formativo delle scuole primarie e secondarie del paese.

Si impareranno i concetti base dell’economia e le logiche del funzionamento degli attori finanziari: banche e assicurazioni. Obiettivo dichiarato: creare cittadini consapevoli e capaci di gestire le proprie finanze, con il fine ultimo di preservare “l’armonia sociale”, come ha affermato Gao Li, portavoce della CSRC.

Ma quali i legami tra pace e stabilità sociale e la capacità di gestire saggiamente le proprie finanze? Per spiegarlo è utile fare qualche passo indietro.

 

La Cina, si sa, ha bruciato le tappe tradizionali della crescita economica, passando in pochi anni da economia in via di sviluppo ad ago della bilancia dei mercati mondiali. L’aumento dei redditi ha allargato la forbice delle sperequazioni socioeconomiche. Divario che si è tradotto anche in un diseguale accesso alle risorse finanziarie, con grande peso dell’hokou, il sistema di registrazione familiare che classifica ogni individuo su una base di parametri come la provenienza, la professione, etnia, e religione, ancorandone l’accesso ai servizi di welfare al luogo di origine.

 

Se manca l’accesso ai capitali, anche le competenze vengono meno e a farne le spese sono stati nel più recente passato, pensionati e piccoli risparmiatori, attirati dalle lucrose promesse di servizi e prodotti finanziari alternativi quelli ufficiali e prosperati nelle pieghe di un sistema legale spesso lacunoso in materia finanziaria.

Il “2019 Con­sumer Fi­nan­cial Lit­er­acy Sur­vey Re­port” pubblicato lo scorso luglio da PBOC, la Banca popolare cinese, ha rivelato un lieve miglioramento nei parametri di conoscenza dei concetti finanziari tra la popolazione cinese, rispetto a quello dell’anno precedete, ma molto rimane da fare.

Con la guerra commerciale con gli Usa ancora ben lontana da una fine e la polveriera di Hong Kong a due passi, per la Cina la parola d’ordine è ora mantenere il controllo interno che significa anche crescita economica.

In quest’ottica indirizzare il risparmio delle famiglie, che in Cina si mantiene tra i più alti al mondo, verso imprese che creino crescita e ricchezza, limitando i rischi (vedi bolla immobiliare e conseguente aumento dei prezzi dei terreni edificabili), è una delle vie di accesso alla pace sociale cui Pechino tanto anela.

In tal modo la questione dell’alfabetizzazione finanziaria assurge al ruolo di tema politico rilevante, tanto da aver trovato esplicitazione in un piano per la promozione dell’inclusione finanziaria (2016-2020) redatto dal Consiglio di Stato.

Nel Piano si promette entro il 2020, un ambiente favorevole all’accessibilità ai servizi finanziari con un’attenzione particolare riservata alle fasce più deboli: anziani, disabili, popolazione rurale.

Non ultimo il piano ha tra i suoi pilastri la volontà di “costruire un meccanismo di lungo termine per l’educazione finanziaria”. È da qui che il governo sta ripartendo, mettendo a sistema un progetto pilota già attivo da alcuni anni in alcune delle più grandi metropoli del paese: Shanghai, Guangzhou e Shenzhen e che ha ormai coinvolto già più di 500 scuole.

Visti i risultati brillanti avuti da una rappresentanza di studenti di Shanghai al Programme for International Student Assessment (PISA), il sistema di assessment sull’alfabetizzazione finanziaria creato dall’OSCE, si è pensato di progredire su questa strada. Ma Shanghai non è l’intera Cina e c’è ancora molto da fare a tutti livelli di insegnamento, da quello elementare fino alle università.

L’industria digitale non sta naturalmente a guardare. Da una parte l’avanzata del fintech, che in Cina sta sperimentando soluzioni tra le più innovative al mondo, rende ancora più urgente una formazione adeguata delle nuove leve ai principi finanziari basilari. Dall’altra specula, sfornando app a sfondo finanziario, anche per i più giovani.

di Nicoletta Ferro

Autore per China Files